Sorvolando la sponda Piemontese del fiume Ticino e ammirando le risaie novaresi allagate, non ho potuto fare a meno di ripercorrere con la mente la storia del riso italiano nei secoli, facendo nascere in me il desiderio di raccontarla.
Un anno e mezzo fa, quando ancora si poteva viaggiare e volare, ero di rientro da un viaggio in Polonia; era un tardo pomeriggio di Maggio, e l'aereo, una volta varcate le Alpi, si è allineato al corso del fiume Ticino, in direzione Sud.
La classica manovra di allineamento per Malpensa, ci speravo.
Sapevo infatti che avrebbe superato di poco Vigevano e all'altezza del ponte sul fiume avrebbe virato per allinearsi alla pista decine di chilometri più avanti; ed io ero dalla parte giusta della carlinga, quella che guardava oltre la riva del Ticino, verso il Piemonte. Il sole si stava accingendo al tramonto che solitamente incrocia il Monviso in questa stagione, e le risaie novaresi allagate sembravano enormi specchi per le allodole.
Vigevano, Gravellona, Cassolnovo, Tornaco, Terdobbiate, Sozzago, Trecate, Cameri, la cupola di Novara in lontananza che svettava nel mare a quadretti, uno spettacolo.
Seduto accanto a me un polacco, un cittadino Europeo come me, in Italia per lavoro come me che rientravo dal suo paese.
Mentre io gustavo quello splendore correre veloce sotto di noi, lui era sorpreso e quasi perplesso, non capiva; ho intuito quindi la domanda che lo perseguitava e le ho dato voce in sua vece: “What is that?” (che cos'è?).
Ho così compreso che il concittadino europeo non aveva mai visto le risaie e nemmeno lontanamente immaginava che in Italia fosse così diffusa la coltivazione del riso! Gli ho spiegato con orgoglio che siamo i primi produttori europei, ma al contempo ho realizzato come in realtà questa eccellenza secolare sia ai più sconosciuta, anche agli stessi italiani.
La data dell'introduzione del riso in Italia in realtà non è certa; qualcuno la fa risalire al 252 d. C. in Sicilia, qualcuno all'epoca d'oro delle repubbliche marinare, qualcuno agli Aragonesi nel XV secolo.
Ma la prima attestazione certa della presenza del riso in Italia è a Pisa, nella piana del Serchio, nel 1468.
Risalgono invece al 27 e 28 Settembre 1475 alcune missive di Galeazzo Maria Sforza, Duca di Milano, all'”Oratore” del Duca di Ferrara Nicolò de' Roberti con cui comunicava di fare dono di 12 sacchi di riso da semina per introdurre la coltivazione del riso nel Ferrarese.
Questa missiva è quanto mai rilevante, perchè si cita l'autorità del “Magistrato del Riso” con sede a Villanova di Cassolnovo, che per inciso si trova a 2 km dal primo appezzamento in cui, nel 2014, abbiamo reintrodotto il riso Razza77.
L’impulso dato dal riso all’economia agricola fu tale che Lodovico il Moro, successore di Galeazzo, nel 1494 dette incarico a Leonardo da Vinci di riorganizzare la rete irrigua alla Sforzesca e a Vigevano, nei parchi di coltura degli Sforza e quella dei canali della Lomellina e del Novarese.
Pertanto si intuisce come la coltivazione del riso in questo territorio, tra Agogna, Terdoppio e Ticino fosse già in quel periodo particolarmente strutturata e regolamentata.
Tuttavia va ricordato come il riso, in questi secoli e per molti altri ancora, non fosse considerato un alimento di consumo, al contrario si trattava di una spezia ad appannaggio di pochi, come definito dal medico e botanico senese Pietro Andrea Mattioli nel 1544 nel suo “Di Pedacio Dioscoride Anazarbeo Libri cinque Della historia, et materia medicinale tradotti in lingua volgare italiana”:
“Contiensi il Riso nelle spetie de grani. Nasce nelle paludi et ne luoghi humidi. Nutrisce mediocremente et ristagna il corpo.”
Il Mattioli scrive nel 1544 che il riso è coltivato in molti luoghi d'Italia con il conseguente aumento dei produttori di riso in Italia, “in terreni humidi, et paludosi” e suggerisce anche una ricetta: “cuocendosi nel latte vaccino, ò di mandorle dolci, ò ne i brodi di carni grasse, non solamente si digerisce più facilmente, ma diventa più dilettevole al gusto”.
Già nel 1544 allora sembra che esistesse il “riso e latte” e la minestra di riso, o una sorta di risotto, chissà?
Il Mattioli dava poi alcune indicazioni anche circa i possibili poteri afrodisiaci del nobile cereale:
“Vogliono alcuni, che il riso cotto nel latte vaccino, e mangiato con zuccaro e un poco di cinnamomo aumenti il seme virile”.
Come non innamorarsi di queste storie, di questo retaggio e tradizione secolare del nobile cereale in Italia; come non incantarsi nel cercare di contare le migliaia di famiglie che nei secoli hanno plasmato questo Territorio e la loro stessa cultura attorno a questo cereale.
Non posso fare a meno di pensarci ogni volta che al Supermercato corro lungo lo scaffale del riso, nel frattempo diventato una commodity, con Uncle Ben's accanto ad una miriade di Carnaroli da 1,5 euro al kg; non posso fare a meno di chiedermi cosa direbbero Galeazzo Maria Sforza e Pietro Mattioli.
Lettera del Duca Galeazzo Maria Sforza relativa alla consegna
di 12 sacchi di riso al Duca di Ferrara (settembre 1475)
Il riso, da i Discorsi di Pietro Andrea Mattioli, 1544